TORINO

Città di Relazioni

Torino come molte altre città si trova ad affrontare una epoca di transizione molto profonda. Gli insediamenti urbani sono strutture molto stabili e le trasformazioni tendono a sovrapporsi alle realtà preesistenti creando ogni volta delle ibridazioni sempre diverse.

Semplificando molto, fino alla rivoluzione industriale le città a prescindere dalla loro vocazione erano essenzialmente dei luoghi difesi da mura e ben distinte dal territorio circostante, nonostante fossero per lo più centri commerciali e quindi intrattenessero vitali scambi con l’esterno. il disegno urbano era modellato sulle gerarchie di governo e sulla struttura sociale. Palazzi, centri decisionali e chiese, torri e campanili erano gli edifici più significativi.

Con la rivoluzione industriale, oltre a costruire le grandi fabbriche, i centri urbani hanno avuto bisogno di espandersi rapidamente facendo a meno delle cinte murarie. Grandi corsi ed assi rettilinei permisero una espansione razionale sia in orizzontale che in altezza. Ascensori, metropolitane, treni, automobili resero possibile coprire le distanze molto grandi che separavano i luoghi di residenza da quelli del lavoro.

Torino, città industriale per eccellenza, cresce attuando una pianificazione molto attenta alle esigenze dell’organizzazione produttiva

Il tracciato della Linea uno della metropolitana di Torino è paradigmatico dell’ultimo scorcio della zonizzazione dell’epoca industriale collegando le zone residenziali in direzione di Rivoli e Collegno con le Fabbriche di Lingotto e Mirafiori evitando il Centro cittadino in quegli anni ancora molto degradato.

A dispetto della forma urbana che nel secondo dopoguerra si polverizza verso le periferie senza più confini netti con la campagna, i modelli di consumo e i tempi del lavoro allontanano sempre di più i cittadini dalla cultura contadina e dalla natura circostante. Torino resta una città relativamente densa e compatta ma negli anni della crescita più intensa le ragioni della produzione industriale sembrano le uniche a dettare le scelte urbanistiche.

Se la città del Novecento è meglio descritta dai flussi che la attraversano che dalla forma dei suoi edifici, oggi ci troviamo di fronte ad un nuovo ribaltamento dell’organizzazione spaziale. L’economia della conoscenza è una economia di relazione ed ha trovato impulso e strumento nella diffusione di Internet al punto di averne assunto la forma reticolare.

Non dobbiamo immaginare che una città ne sostituisca un’altra ma che questi modelli si integrino, rendendo così difficile un immediato riconoscimento delle innovazioni.

A parte l’anomalo e probabilmente eccessivo attivismo edilizio a ridosso delle olimpiadi l’attuale fase di transizione ha prodotto un declino o quantomeno una stagnazione nel mercato delle costruzioni e dei valori immobiliari. Città come Milano per non andare lontano hanno reagito in modo diverso e più dinamico.

E’ utile concentrarsi su due aspetti che colgono il senso della mutazione in atto, una spinta verso una diversa distribuzione delle funzioni e un diverso rapporto con il territorio e la scala metropolitana.

Riguardo il tema della zonizzazione, come viene chiamata l’attività di pianificazione che assegna determinate funzioni a diverse parti della città, dobbiamo rilevare che questa trova la sua ragione in un epoca in cui il lavoro era concentrato in grandi stabilimenti rumorosi, inquinanti e circondati da ampie vie di scorrimento tali da essere incompatibili con le funzioni residenziali e terziarie. Oggi le grandi fabbriche che non sono delocalizzate sono molto diverse, meno impattanti e spesso più piccole e automatizzate. La qualità della vita e il livello dei servizi in quartieri tendenzialmente monofunzionali è considerata più bassa e rischia di generare segregazione e isolamento. Un più diversificato mix funzionale e sociale genera opportunità di relazione, migliore accesso ai servizi e diminuisce i costi economici e ambientali di lunghi spostamenti. Lo slogan lanciato dalla sindaca di Parigi della “città dei 15 minuti” ovvero una città in cui da qualunque posto si possa accedere ai principali servizi in 15 minuti a piedi è il miglior paradigma della città contemporanea. Nonostante i freni imposti da una pianificazione ormai burocratizzata la spinta verso il mix funzionale è assai diffusa e sostenuta dal mercato anche in assenza di grandi interventi sulla città fisica e nuove costruzioni.

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Il secondo punto riguarda la scala larga della città, la sua dimensione territoriale più ampia. I confini amministrativi comunali sono assai poco utili anche solo a descrivere l’agglomerato urbano che si riconosce anche fisicamente nella continuità dell’edificato. L’organizzazione dei principali servizi che rappresentano una parte importante del governo cittadino sono gravemente ostacolati da confini amministrativi ormai inutili e superati da decenni. A parte la dimensione metropolitana che in qualche modo fa ancora riferimento alla forma della città, dobbiamo prestare attenzione alla dimensione economica e culturale della città perché questa è il principale oggetto del governo cittadino ed rappresenta il livello su cui si gioca la nostra capacità di competere e generare benessere.

Senza trascurare il capitale infrastrutturale che deve comunque mantenersi adeguato ad una città piccola bella e sufficientemente efficiente, dobbiamo sforzarci di elaborare una visione meno centrata sulla struttura fisica dei luoghi. E’ necessario tenere conto della accresciuta complessità delle relazioni del centro con l’esterno sia esso il territorio montano e collinare che la circonda, siano le polarità di Milano o di Lione, sia il potente corridoio commerciale della via della seta e del retroporto ligure.

Dobbiamo infine sottolineare che rispetto alla città del passato che interpretava la propria identità e la propria dimensione spaziale attraverso una narrazione egemone oggi la società è molto più frammentata e difficilmente riesce a darsi dei fini e riconoscersi in un racconto largamente condiviso.

La crisi, intesa come trasformazione, ha principalmente origine nella evoluzione tecnologica ma si manifesta in modi molto diversi che vanno dalla minaccia climatica alle migrazioni di massa, dall’invecchiamento della popolazione alle crescenti diseguaglianze; una politica che voglia essere efficace deve comprendere i processi ma soprattutto orientarli e darsi degli obiettivi chiari.

Una società progressivamente più disunita in cui paradossalmente a fronte della maggiore libertà di accesso alle informazioni e al moltiplicarsi delle interazioni si è prodotta più fragilità delle reti sociali. E’ dimostrato che i social digitali tendono a polarizzare le opinioni e non favoriscono il confronto costruttivo tra chi è portatore di idee diverse.

Non deve sembrare eccessivo ragionare di un tema globale come la regolamentazione della rete in relazione al programma amministrativo di una città medio piccola perché l’impatto potenzialmente più distruttivo dell’attuale assetto di controllo dei media digitali è principalmente al livello delle comunità locali. Lo verifichiamo nell’evoluzione del commercio di prossimità, nell’indebolimento delle reti sociali e nell’aumento della solitudine, ma soprattutto nell’idea stessa di città intesa come spazio pubblico in cui costruire il destino comune dei cittadini.

Il tema del governo della città è sempre più sfuggente e deborda dalla dimensione amministrativa di ciò che normalmente si decide in consiglio comunale. Non riguarda la sola forma fisica o l’erogazione dei servizi quanto uno spazio relazionale, affettivo, insediato ma dalle geografie molto variabili.

Dobbiamo attrezzarci per un epoca in cui i centri decisionali saranno sempre più distribuiti e l’autorità più debole. Il governo dei processi laddove non possa essere ottenuto in via esclusivamente normativa può essere pilotato attraverso gli investimenti ma è necessario disporre di finanze pubbliche non troppo indebitate.

Nei prossimi anni grazie all’enorme sforzo dell’Europa disporremo di molte risorse che daranno strumenti ai governi ma dobbiamo essere consapevoli che si tradurranno in nuovo debito per cui se non utilizziamo questi anni per ristrutturare l’amministrazione saremo condannati ad adattarci a scelte compiute altrove e ad essere in qualche modo sudditi di una sorta di nuova giurisdizione finanziaria sovranazionale.

Ristrutturare l’amministrazione vuole certamente dire renderla più efficiente ma anche avere la consapevolezza che per governare la complessità sociale è necessario agire esercitando leadership diffusa, operando sull’intelligenza collettiva con azioni di persuasione e generando consapevolezza della dimensione sociale dell’agire individuale. Le città sono il luogo dove questi processi avvengono in modo più evidente e non è un caso che l’effetto della crisi sia stato devastante sul senso di cittadinanza della popolazione.

Il disorientamento collettivo e il prodotto dell’impossibilità di riconoscersi in centri decisionali e obiettivi strategici chiari, nell’impossibilità di valutare l’efficacia delle azioni, nella eccessiva rapidità con cui la politica insegue le evoluzioni delle opinioni mediatiche. Il primo obiettivo di una nuova amministrazione dovrà essere ricostruire il patto di cittadinanza ristabilendo il perimetro del governo e responsabilizzando la società civile. Su questo dobbiamo giocare il ruolo dei civici

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