Possiamo elencare moltissime dimensioni e ricadute dell’innovazione tecnologica e digitale che impattano sul nostro sistema relazionale e di cittadinanza ne elenchiamo quattro che ci paiono più immediate e mettono in evidenza come sia urgente affermare nuovi diritti che tutelino i cittadini di fronte allo strapotere dei soggetti che controllano le reti e la tecnologia. Il diritto di cittadinanza si fonda sul principio che far parte di una comunità significhi  avere un posto, anche fisico, dove stare ed esercitare la propria attività in modo stabile, ogni cittadino è titolare pro quota di questo diritto consolidato che oggi rischia di essere espropriato se non troviamo le forme per riaffermarlo ad un livello nuovo e diverso. Una società più fluida e mobile che si riorganizza rapidamente con scarso riguardo ai luoghi e agli spazi fisici, almeno per quanto riguarda gli investimenti e la propria economia, richiede un nuovo e diverso Patto di Cittadinanza, un ridisegno dei confini tra collettivo e individuale e degli strumenti di governo che sappia trovare un fondamento economico e valoriale che renda nuovamente attrattivo il nostro modello cittadino.

L’insistenza sugli aspetti valoriali non è casuale e deve andare di pari passo con la crescita economica in un rapporto che non è solo più quello che teneva assieme politiche competitive e di coesione, pubblico e privato. Torino potrebbe sfruttare da un lato un enorme spazio economico facendo leva sul terzo settore e sull’impresa sociale, investendo su iniziative che sappiano dare risposta ai crescenti nuovi bisogni dei cittadini dall’altro deregolamentare e liberalizzare rendendo più facile per i giovani e le persone intraprendenti realizzare i propri progetti (Scheda H).

Invertire il percorso di declino strutturale imboccato ormai da oltre trent’anni richiede un ripensamento radicale che sappia mettere al centro la persona, l’ambiente e la qualità della vita non solo per un indifferibile esigenza etica e di sostenibilità ma anche come fondamentale ingrediente economico-competitivo.

Il primo motore è quello più rilevante perché più intimamente connesso con la rivoluzione tecnologica informatica che è un presupposto imprescindibile di ogni innovazione contemporanea. Con transizione digitale vogliamo riferirci ad una ricaduta più circoscritta che riguarda da un lato la smaterializzazione delle relazioni e dall’altro la possibilità, attraverso la raccolta e l’interpretazione dei dati prodotti, i cosiddetti big data, di avere una visione istantanea, oggettiva, elaborabile alla scala individuale, dei fenomeni sociali. Quello che ciascuno di noi non può fare, ovvero concepire il mondo delle relazioni in modo non soggettivo lo possono fare gli algoritmi applicati alle nostre tracce digitali. La sorpresa è che attraverso la profilazione e lo sviluppo di sofisticate capacità predittive, avendo accesso ad una buona base dati, è possibile prevedere, e in larga misura condizionare, i nostri comportamenti. Tutto questo ha molto a che fare con l’idea stessa di città e di cittadinanza, con i concetti di prossimità e distanza, di pubblico e privato, che regolano lo spazio urbano. Chiunque si trovi a governare la città nei prossimi anni dovrà finalmente affrontare l’opportunità di rendere più “smart” ed efficiente la macchina pubblica e di ripensare tutto il sistema di erogazione dei servizi, E’ indispensabile che l’amministrazione abbia come obiettivo prioritario quello di estendere la sovranità municipale sui dati prodotti (Scheda B). Si tratta di adottare un modello in cui la proprietà e quindi anche la giurisdizione sia sotto il controllo di un soggetto terzo tra lo stato e il mercato e tuteli efficacemente la comunità. Su questi temi, Torino, ha la possibilità di ritornare ad essere all’avanguardia riportando il proprio modello cittadino e la qualità dei servizi ad un livello competitivo.

Una opportunità particolarmente interessante, specie per la caratteristica configurazione territoriale di Torino, che approfondisco più avanti,  sta nell’immaginare servizi cittadini più Smart ad una scala più allargata adottando un modello di Smart Land più che di Smart City (Scheda F)

La crisi del 2008 ha mostrato i rischi e la potenza del nuovo mercato finanziario cresciuto in pochissimi anni per effetto delle tecnologie che consentono scambi rapidissimi di titoli e della deregolamentazione del mercato che ha permesso la creazione di prodotti di assicurazione e risparmio sempre più sofisticati[1]. Oltre a dirottare gran parte del risparmio verso i mercati più redditizi, L’impatto della finanziarizzazione economica sulle città premia gli unici beni in grado di sostenere rendimenti vicini al 7/10% annuo. Inoltre i modelli di gestione presi in considerazione dai fondi devono essere attentamente certificabili e quindi prevalentemente condotti da marchi e catene internazionali.

Grande distribuzione, alberghi,  parcheggi, Rsa, sono le uniche funzioni che per effetto di un modello organizzativo più efficiente possono garantire la redditività richiesta restando competitivi rispetto a piccole imprese tradizionali. Il risultato è che queste attività estraggono ricchezza economica insediata a favore della rendita finanziaria impoverendo il tessuto economico e sociale che in passato si alimentava dal reinvestimento degli utili.  Questi processi di lungo periodo devono essere tenuti nella massima considerazione non per frenare i grandi investimenti quanto per cercare di promuovere uno sviluppo equilibrato che renda sostenibile nel suo complesso la costruzione della città.

Un’amministrazione oculata deve fare ogni sforzo per attrarre capitale privato paziente sapendo garantire la minore liquidità e rendimenti più equilibrati con una strategia credibile di sviluppo. Una città indebitata come Torino deve riuscire a liberare risorse per nuovi investimenti e questo sarà possibile solo vendendo proprietà o allungando e ristrutturando il debito. In ogni caso, sarà fondamentale rafforzare le garanzie da offrire ai prestatori e questo può avvenire solo consolidando parte del debito per infrastrutture in fondi statali e presentando un piano strategico credibile che dimostri la competitività dell’economia territoriale sul lungo periodo.

Un altro fronte su cui operare è l’alleggerimento della burocrazia e la revisione degli standard urbanistici in forme che consentano di mantenere se non migliorare la qualità di servizio ma in un contesto di maggiore flessibilità.

Infine andrà verificata attentamente la possibilità di utilizzare valute locali virtuali per generare liquidità che alimenti il più possibile forme di economia circolare.

 

[1] . I rendimenti del capitale investito sui mercati finanziari globali sono generalmente molto più alti e rapidi di quelli garantiti dall’economia reale. La durata media dell’investimento finanziario è meno di cinque anni, un tempo non compatibile con la costruzione di città sostenibili e socialmente equilibrate che richiederebbe cicli economici almeno quattro o cinque volte più lunghi. Gli unici investimenti che città come Torino hanno potuto attrarre sono l’Immobiliare gestito dove è la funzione a garantire la rendita e non l’immobile in sé. A livello locale, la città, non può più neppure contare sulla capacità trasformativa delle piccole e medie imprese di sviluppo e costruzione che hanno operato nel corso del secolo scorso e che ormai sono quasi completamente scomparse.

Il tema della sharing economy è estremamente vasto e riguarda sempre più aspetti della nostra vita. Per quanto riguarda la città i principali aspetti sono sicuramente la mobilità e le abitazioni. Abbiamo incominciato a vedere flotte di automobili, biciclette, monopattini in affitto popolare le nostre strade, un fenomeno che è probabilmente è solo all’inizio e finirà per rendere marginale la proprietà individuale dei mezzi di trasporto. L’impatto della riduzione dei mezzi circolanti o in sosta sarà altissimo ed estremamente benefico sul clima e sulla vivibilità delle città e deve sicuramente essere incentivato[2].

Per quanto riguarda le abitazioni il discorso è più complicato. L’affitto, è da sempre stato molto diffuso per garantire l’accesso alla casa, ma oggi, nuove formule contrattuali più spostate verso il servizio che non al generico possesso sembrano essere più funzionali ad una più generale evoluzione dei nostri bisogni e potrebbero facilitare un uso più efficiente del costruito a seconda delle fasi e delle necessità della vita.  La flessibilità con la quale dobbiamo affrontare la nostra posizione lavorativa e la sempre più debole stabilità affettiva delle relazioni richiede capacità di adattamento superiori al passato. In queste condizioni la proprietà dei beni è più un peso che un’ opportunità [3].

Si apre uno spazio di opportunità in cui la Città di Torino, potrebbe farsi promotore e garante di  un fondo pubblico privato che promuova la rigenerazione diffusa del tessuto urbano (Scheda A).

Una economia in cui la proprietà dei beni è concentrata nelle mani di pochi gestori offre una maggior facilità di programmare l’intero ciclo di vita dei beni semplificando la realizzazione di modelli di economia circolare.

 

 

[2] Un discorso a parte, per la rilevanza e l’impatto che genererà sulle città, meritano le tecnologie di guida autonoma. Stiamo entrando in un’era in cui non sarà necessario guidare, le strade saranno più sicure e silenziose, la mobilità individuale per anziani e giovani senza patente sarà facilitata, un complesso di fattori che assieme alle piattaforme digitali e alla condivisione dei mezzi renderà possibile davvero parlare di mobilità come servizio integrato su innumerevoli modalità di trasporto. Le vie non avranno più auto parcheggiate e le sezioni carreggiabili potranno essere ridotte a beneficio della vivibilità e dello spazio pubblico verde pedonale o ciclabile in sicurezza.

 

[3] Un aspetto da non trascurare su cui ritorneremo in seguito a proposito dei nuovi diritti riguarda gli effetti sul senso di precarietà e sradicamento che può produrre vivere la propria abitazione come un servizio prima ancora che come uno spazio nel quale esistere in sicurezza. In particolare per le persone più anziane e fragili è fondamentale investire in reti di relazione stabili. Il diverso rapporto tra il privato e il pubblico o il collettivo facilitato da formule innovative di spazi per abitare e lavorare possono incidere profondamente sul nostro equilibrio psichico e devono essere progettate e gestite con estrema cura. La società nel suo insieme deve attrezzarsi per contrastare l’isolamento e l’emarginazione delle persone  investendo sulla resilienza dei modelli sociali.

Un insieme molto variegato di tecnologie aiuteranno l’uomo a svolgere compiti materiali e concettuali semplificando la vita di molti ma con un grandissimo impatto sulla distribuzione delle risorse e dei carichi di lavoro. Molti lavori diverranno inutili, non solo quelli ripetitivi e meccanici che la robotizzazione può alleviare, ma anche professioni come il medico e l’avvocato saranno in parte sostituiti da sistemi di intelligenza artificiale ben più efficienti. Probabilmente i mestieri creativi saranno quelli più difficili da surrogare ma anche in questo campo si stanno facendo enormi progressi. E’ prevedibile che la quantità di persone senza lavoro aumenterà anziché diminuire e si pone fin da subito il problema di aggiornare la formazione di coloro che sono espulsi dal mercato del lavoro e di riformare il sistema educativo nel suo complesso in favore di quelle materie e quelle attitudini che saranno ancora indispensabili. Purtroppo benchè la formazione sia importante non sarà sufficiente ad evitare situazione di emarginazione o espulsione dal mercato del lavoro, Sarà fondamentale investire in forme di welfare innovative più capaci di intercettare il disagio dove si verifica.

 

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